Giulio Gotti, il fondatore del Pedale Bolognese
GIANNI SANDONI |
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Il primo pensiero che viene alla mente trovandosi di fronte e ascoltando Giulio Gotti, un “giovanotto” di 90 anni, è che se il Pedale Bolognese a settant’anni dalla sua nascita è ancora così vivo e riesce a svolgere l’attività con tanto entusiasmo e successo, il merito va proprio al fondatore che è riuscito a infondergli l’essenza del proprio spirito, un impasto fatto di forza, coerenza, e soprattutto massima onestà. E’ però anche vero he al successo del Pedale, nel tempo hanno contribuito circostanze favorevoli e principalmente uomini che si sono dedicati e si dedicano tuttora instancabilmente e con disinteresse a che il programma delle manifestazioni e gite, ogni anno sia sempre stimolante e abbia un buon svolgimento. A questo proposito credo di poter nominare come rappresentante di tutti coloro che si prestano per la società l’attuale Presidente Paolino Cocchi, appassionato e dinamico organizzatore e coordinatore del gruppo. Ma é altrettanto vero che le fondamentali regole scritte nello statuto in quel lontano 15 aprile 1922, sono sempre state rispettate e scrupolosamente mantenute. Quindi, il Pedale Bolognese nasce nel 1922 da un gruppo di 14 soci e con la presidenza ,appunto di Giulio Gotti. La società si autofinanzia chiedendo ai soci una tassa di £.cinque all’atto dell’iscrizione, e una quota settimanale di £. Una. L’articolo due del suddetto statuto recita:”la società è estranea a qualunque lotta o gara di parte politica o religiosa”. Ho citato questo articolo perché penso sia un punto veramente importante che fa capire lo spirito e lo scopo prettamente sportivo, nel più puro della parola, con cui è nato il Pedale Bolognese. E’ divertente ascoltare Gotti, mentre racconta con quanta diplomazia sia sempre riuscito a mantenere questa indipendenza in un memento politico dove non era per niente facile, se non impossibile, rimanere liberi da vincolo e controlli, non cedendo a nessun tipo di offerta o lusinga che inevitabilmente avrebbe creato pericolosi obblighi nei confronti di autorità che, come sappiamo, non lasciavano molto spazio alla libera iniziativa. La stima di cui godeva Gotti, già noto per aver fondato la società calcistica “Gruppo Sportivo Bolognese” che aveva affittato il campo della Cesoia, approfittando del fatto che il Bologna F.C. si era trasferito allo Sterlino, è stata preziosa in molte occasioni per risolvere situazioni un po’ tese in alcuni casi anche evitare noie a qualche conoscente a cui Gotti, nel suo genuino bolognese, suggeriva di raccomandarsi alle autorità facendo il suo nome: “Di che t’j un mi amig, s’al conta!”. Ancora Gotti racconta come cercasse di incontrare il fiduciario del momento fuori dalle sedi ufficiali, dove certamente le cose si sarebbero complicate anche per avere un semplice permesso, mentre in un incontro “casuale” senza nessun terzo incomodo, le questioni si risolvevano più velocemente. Anche di fronte all’offerta di premi in occasione di certe gare,Gotti opponeva un gentile rifiuto, così anche per l’”Adesione Morale”, richiesta dai responsabili politici dell’epoca, il presidente si sottraeva facendo finta di non capire dicendo: ”Mo, cusela questa Adesione Morale”. Sul gagliardetto del Pedale Bolognese, simbolo della società, non è mai apparso il fascio littorio, questo a dimostrare come fosse importante per la sopravvivenza del gruppo rimanere neutrali da qualsiasi fazione politica. Non che non ci fosse bisogno di fondi, perché organizzare gare costava molto ed eventuali richieste di aiuti si facevano agli organi sportivi e, purtroppo, anche quell’ambiente non era esente da corruzioni e sotterfugi. Non mi sembra il caso di fare nomi, ma Gotti ricorda tutto perfettamente e se citiamo, in questa occasione, anche questi particolari è solo per completare realisticamente il quadro di un’epoca (nessuna epoca, comunque, è mai stata al di fuori di queste cose, sembra sia un costume inevitabile). Nonostante l’organizzare gare ciclistiche per gli allievi e i dilettanti fosse lo scopo principale della società, Gotti non disdegnava qualsiasi manifestazione mettesse in evidenza il nome del Pedale e, che quindi desse lustro e, perché no, potesse rendere qualcosa per le casse del sodalizio. Famose sono rimaste le feste campestri, organizzate nella prima sede del Pedale Bolognese, in via Chiudare che ha mantenuto fino a qualche anno fa il nome, appunto, di “Bar Pedale”. Durante queste riunioni si svolgevano diverse attività e si vendevano biglietti per una lotteria. Il permesso di vendita era limitato a mille biglietti dal costo di pochi centesimi (dieci soldi), e quindi era un po’ un problema procurarsi premi sufficienti e guadagnare qualche lira. La bontà e comprensione del questore di allora, che firmava qualche blocchetto di biglietti in più, era un aiuto apprezzato da Gotti che ricorda con commozione: ”L’era acsè un bòn omen, e tott al volt cà vag in zertòusa a ved là la so tomba”. Nel 1923 fu ospite del Pedale Bolognese in una memorabile serata, il famoso campione Costante Girardengo, che proprio un quell’anno vinse il Giro | d’Italia. La circostanza che rese possibile questo incontro fu piuttosto insolita efortunata. Nel bar, sede della società, si dovevano sostituire i banchi e a questo doveva provvedere la ditta Michelagnoli di Novi Ligure. E fu proprio il signor Michelangnoli che parlando, come si può immaginare di Ciclismo, disse che conosceva Giradengo fin da quando Era un bambino. L’occasione, naturalmente, venne sfruttata e approfittando del fatto che il Campione doveva partecipare ad una gara che si svolgeva a Renazzo (Ferrara), venne organizzata dal Pedale una cena in suo onore. La riunione fu fatta al Belletti (porta S.Mamolo) ed è inutile dire quanta gente fosse assiepata attorno al locale per poter almeno vedere l’asso, orgoglio della Nazione.Girardengo aveva lanciatouna scommessa di £ 100.000 a tutti i corridori, dicendo che nessuno sarebbe riuscito a Batterlo su di un percorso che includeva alcune tremende salite sulle alpi francesi. Il giornalista Colombo, che partecipava alla serata con Giovanni Brunero, famoso scalatore che aveva vinto il Giro d’Italia l’anni prima, suggerì a quest’ultimo di accettare la sfida, ma Girardengo aggirò l’attacco del pericoloso collega dicendo che l’invito era rivolto soprattutto ai ciclisti francesi, data la grande rivalità che c’era, in fatto di ciclismo, tra le due nazioni. Per capire lo straordinario personaggio, basti pensare che Gotti quando fondò il Pedale non era, come lui stesso candidamente confessa, capace di andare in bicicletta. Lo sport che allora praticava era il calcio e ciò nonostante fu uno dei partecipanti alle prime gare della società. La scelta dei colori sociali cadde sul bianco e verde principalmente per distinguersi dalle altre squadre che avevano altri colori, lo stemma della città di Bologne, sormontato dal gruppo della pedaliera, era invece il simbolo della società che, nel nome e nell’immagine, voleva dimostrare l’orgoglio di appartenere alla amata città. Nel 1924, nonostante gli sforzi economici e l’acquisto di quattro biciclette Ganna (pagate poi dal signor Negrini, proprietario della Invulnerabile), non ci furono risultati apprezzabili nelle gare cui il pedale partecipò. L’anno dopo invece, nel 1925, la costanza di gotti venne premiata con una serie di vittorie e piazzamenti, fra cui ci fu lo splendido primo posto di Francia nella San Marino- Bologna, gara dove erano in palio anche premi donati dal re e dal duce. Fra i vari presidenti onorari succedutisi nella società, che Gotti benevolmente definisce, più che benefattori, personaggi con l’ambizione di apparire amanti dello sport, il fondatore ricorda con stima il signor Buriani, commerciante di stoffe, che con la sua generosità contribuì in diverse occasioni alla buona riuscita delle manifestazioni organizzate dalla società. L’attività ciclistica del sodalizio diventa sempre più importante a livello nazionale organizzando gare per il Campionato italiano UVI (in futuro F.C.I.). Dopo la pausa durante gli anni della II guerra mondiale, la società riprende organizzando un po’ di tutto: l’importante era che il nome del Pedale Bolognese tornasse a vivere per continuare lo scopo per il quale era nato e cioè la diffusione dello sport ciclistico. Il giro podistico di Bologna, gare di Cross Country, le feste campestri e perfino gare di biliardo sono fra le attività del primo dopoguerra, nel contempo, imperò nasceva e prendeva sempre più spazio la pratica del cicloturismo. Al Pedale bolognese va senz’altro il merito di esser stato il fondatore di questa disciplina; in quel periodo non esisteva in Italia nessun gruppo che praticasse questo sport-passatempo e la società bolognese servì come esempio e fu presa come modello da tutte le associazioni che nacquero in seguito. L’attività agonistica continuava ancora ma sarà quella cicloturistica a diventare molto importante, fino a conquistare otto campionati italiani Dace. Il presidente Giulio Gotti rimane in carica fino al 1964 quando il Pedale Bolognese è diviso in due correnti: quella agonistica e quella cicloturistica e quest’ultima nel tempo, diventerà l’attività unica della società. Difficile dire se il Pedale Bolognese sarebbe stato lo stesso, così vivo e così longevo, se a fondarlo fossero state altre persone; certoé che la rettitudine, l’onestà, e la semplicità di Giulio Gotti ci fanno riconciliare con genere umano, in un momento dove queste qualità sono considerate valori superati e da nascondere con accuratezza per poter avere qualche probabilità di successo; un successo che, invece, il Pedale Bolognese ha conquistato anche rispettando quei fondamentali 32 punti scritti in una primavera di settant’anni fa, e precisamente, il 15 aprile del 1922. |